L’idea che la tristezza sia solo un’emozione negativa e inutile appartiene ormai al passato. Eppure nessuno di noi sembra saperci convivere facilmente. Spesso in studio si arriva proprio per l’impossibilità a tollerare quest’emozione così spiacevole e densa. Attraversare lo sconforto può sembrare come entrare in un tunnel buio e spaventoso: tutto in noi si ribella a farlo. Così diventiamo trottole impazzite, sempre in movimento per non sentire il dolore. C’è chi si rifugia nel lavoro, chi si perde nello shopping, chi corre in palestra o, al contrario, si abbandona a serie infinite su Netflix e patatine sul divano. Ma nessuna di queste fughe, se agite in modo compulsivo, ci permette davvero di affrontare la tristezza.
Entrare nel tunnel, invece, significa concedersi di sentire, di piangere, di accettare ciò che è accaduto. È un passaggio faticoso ma necessario: solo attraversandolo possiamo cicatrizzare le ferite, che altrimenti rimarrebbero aperte, infettando silenziosamente la nostra vitalità. Questa immersione è un passaggio inevitabile, spesso ricacciato, sostituito da distrazioni fugaci. Ma paradossalmente non attraversare questa tristezza prolunga il tempo in questo dolore, facendolo diventare parte del nostro modo di vedere il mondo, del nostro tono di fondo emotivo. Come fare, quindi, per trovare il giusto compromesso per stare in questa tristezza senza venirne risucchiati? Spesso invito le persone a creare spazi e tempi dedicati alla tristezza, piccoli momenti quotidiani in cui darle voce consapevolmente, invece di subirla o scacciarla.
La natura, in fondo, ci ha già donato uno strumento prezioso per attraversare questo processo: il pianto. Piangere non è debolezza, ma una forma profonda di autoconsolazione biologica. Le lacrime attivano il sistema nervoso parasimpatico — quello del riposo e della rigenerazione — e favoriscono il rilascio di ossitocina ed endorfine, sostanze che calmano, leniscono e ci restituiscono gradualmente energia.
Il pianto, poi, dal punto di vista simbolico, apre una soglia di consapevolezza: ci riconnette con noi stessi, con la nostra umanità, e con il bisogno più semplice e più vero di sentirci al sicuro dentro di noi.
È una fase che può richiedere accompagnamento, perché non sempre si riesce da soli a sostare in un’emozione tanto intensa. Piccole strategie possono aiutatare a contenere e ridurre la portata di questa travolgente emotività, che lasciata decantare, come un’onda finisce per restituirci calma e nuova chiarezza.