Da sempre, nel mondo della psicologia aleggia una sorta di tensione — più o meno esplicita — tra due prospettive: da un lato, quella che invita a sostare e indagare nel passato, tipica degli approcci più dinamici, con l’intento di comprendere e rielaborare ciò che è stato; dall’altro, quella che preferisce concentrarsi sul presente, propria delle correnti più orientate all’attualità e all’azione.
Se spostiamo lo sguardo sul piano affettivo, possiamo osservare come spesso, nella vita di una persona, tendano a ripetersi determinati copioni relazionali — come se una parte di quel passato continuasse, in forme nuove, a chiedere di essere visto. Ormai estremamente nota è la dinamica del narcisismo. In cui, a dire il vero, e apriamo una parentesi particolarmente ampia, il mondo social, in particolare, ha posto l’enfasi su un’unica faccia della medesima medaglia, ovvero l’eco mediatico sulla disfunzionalità del narcisista, tralasciando come non possa esistere il narcisista senza la sua vittima, definista anche ecoista dallo psicologo Malkin. Così siamo bombardati di termini come Love bombing, ghosting, gaslighting, hoovering maligno e chi più ne ha più ne metta. La realtà sembra, di conseguenza, assumere le sembianze di un campo minato, per cui diviene impossibile per una donna non inceppare in un uomo con tratti narcisistici. Dopo essere state lasciate si scatenano diagnosi fai-da-te per i narcisi di turno, senza mai soffermarsi sulle dinamiche della vittima e sulla modalità in cui tale relazione si sia costruita. Senza entrare, appunto, nel dettaglio delle dinamiche che s’instaurano, mi preme ricordare come la relazione sia una danza a due, in cui al movimento di uno corrisponde quello dell’altro e viceversa. Detto questo, è evidente come spesso proprio per il ripetersi di determinate situazioni relazionali nella vita delle persona, un tuffo nel passato sia indispensabile. Non per avviare un processo alla vita educativa e familiare, ma non farlo sarebbe come pretendere di costruire una casa su fondamenta crepate senza prima vederle, risanarle e trasformarle in qualcosa di solido.

Le relazioni sentimentali di cui è stata impregnata la nostra infanzia, intendo dire quelle di mamma e papà, dei nonni, degli zii, hanno indubbiamente modellato la nostra crescita e la nostra percezione. Cosicché siamo portati, poi, a imbastire relazioni con una modalità antitetica o al contrario a ricalcarne il modello in modo fedele. In entrambi i casi, il condizionamento agito sottotraccia da parte del proprio imprinting sentimentale non ci rende liberi di scegliere autenticamente, se prima coscientemente non sia posta la giusta attenzione alle tracce che questi schemi hanno scritto dentro di noi. Ora qui, sta un passaggio integrativo fondamentale nei maggiori approcci psi, quello al passato e quello al presente. La necessità di guardare al nostro passato non si traduce nell’accusa di questo passato, ovvero in un processo ai genitori e alla loro vita coniugale e/o educativa, ma nell’individuare l’origine di quelle lenti con cui ora guardiamo il mondo e di conseguenza la libertà di posare quelle lenti per scegliere le proprie personali. Ricordare che ogni genitore ha fatto e fa del proprio meglio con le risorse che ha a disposizione e con le migliori intenzioni, in virtù della sua storia è esssenziale per cominciare a prendersi cura del proprio presente. Colpevolizzare in modo continuo (e qui lo sottolineo: una prima fase di rabbia per le ingiusitizie subite è sana e basilare!), ovvero persistere in un mood di risentimento significa castrarsi di ogni possibilità di svolta della propria vita, significa rinunciare al ruolo di gestione della propria esistenza. Occorre, quindi, questo salto nel passato sì, ma per poter, poi, prendere le redini del presente, senza rimanere invischiati in un passato che è passato. Un ulteriore aspetto, molto rilevante, è che, se nel presente insistiamo a detestare il modello sentimentale che nel passato ci ha ferito, continuando a rinnegarlo e a fuggirlo, il rischio sia proprio quello di somigliarci sempre di più. “Ciò che rifiuti diventa il tuo destino”. Rinnegando una parte così fondativa della nostra vita, ci impediamo di gestire in modo efficace tutto quel mondo emotivo correlato e ci rendiamo incapaci di muoverci liberamente nella relazione con persone che presentano atteggiamenti simili a quelli che abbiamo interiorizzato come sbagliati. In altre parole, non solo le nostre reazioni, ma anche i nostri atteggiamenti e perfino ciò che ci attrae o ci spinge a scegliere un partner, rischiano di non essere davvero liberi e autentici. Sono spesso influenzati da automatismi profondi, legami invisibili e antiche ferite che ci guidano senza che ce ne accorgiamo.
Così finiamo per muoverci dentro un loop magnetico e ripetitivo, che ci tiene vincolati — quasi ipnotizzati — a ripercorrere gli stessi copioni relazionali, pur credendo ogni volta di vivere qualcosa di nuovo. Tuttavia proprio quelle radici sono la nostra forza, senza di esse non possiamo pensare di crescere. Senza di esse la vita non può espandersi e differenziarsi; più quell’attaccamento sarà riconosciuto e accettato, più le sue fragilità potranno essere riabilitate come peculiarità. Le ferite, quindi, viste come tracce di un disegno più ampio, in cui ogni crepa diventa una porta verso la nostra unicità!